Legale portare i soldi in Svizzera?




Le maggiori perplessità circa la tenuta del sistema finanziario e bancario italiano sono indubbiamente riconducibili alle vicende ultime riferibili a Banca Popolare di Vicenza,  Veneto BancaMonte dei Paschi di Siena ma soprattutto al c.d. bail-in, entrato in vigore il 01 gennaio 2016.

Il bail in ( letteralmente “ salvataggio dall’ interno” è uno strumento introdotto dalla Direttiva n. 2014/59 dell’Unione Europea per il risanamento e risoluzione di enti creditizi e imprese di investimento (c.d. Direttiva BRRD), recepita con Decreti Legislativi n. 180 e 181 del 16 novembre 2015 – per affrontare le crisi bancarie.

Tale normativa impone la partecipazione degli investitori/risparmiatori – qualora possessori di determinate attività finanziarie emesse dalla banca stessa – alle perdite patrimoniali da questa subite.

Il meccanismo del bail-in è teso ad evitare che il salvataggio di una banca sia effettuato mediante impiego di fondi pubblici (c.d. bail-out, ossia il “salvataggio dall’esterno”).

Tale meccanismo di «salvataggio interno» imposto dalla commissione europea non è pensato per tutelare le ragioni dei risparmiatori quindi, ma degli stati, con la finalità di limitare  gli azzardi e la deresponsabilizzazione degli istituti bancari.

Prima di andare a colpire il risparmio e cioè i conti correnti, ci sono delle gerarchie di coinvolgimento che potrebbe implicare, tra le altre, la perdita parziale o totale del proprio investimento): le azioni e gli altri titoli di capitale (assimilabili alle azioni) emessi dalla banca sono le prime attività finanziarie ad essere interessate; a seguire le obbligazioni subordinate (passibili, nei casi meno gravi, di conversione in azione); successivamente, le obbligazioni ordinarie non garantite e non subordinate; per ultimo i depositi bancari, ma solo per l’importo eccedente i 100.000 euro.

I Presupposti che la Banca d’Italia deve verificare affinchè operi il bail in sono:

  • la banca è in dissesto o a rischio di dissesto;
  • non si ritiene che esistano misure alternative;
  • esiste un interesse pubblico alla risoluzione.

Il fine della procedura è quello di far sì che la banca in dissesto continui ad operare:

  • trovandole un acquirente;
  • trasferendo le sue attività sane ad un altro soggetto che sarà poi venduto sul mercato;
  • trasferendo le passività deteriorate ad un altro soggetto che provvederà a venderle, sia pure a valore svalutato;
  • applicando il bail-in, ossia riducendo o annullando il valore di azioni e debiti (i debiti possono anche essere convertiti in azioni) per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui l’attività.

Restano esclusi dal bail in, gli investimenti in fondi comuni e il conto corrente di appoggio relativo (conto titoli).

Per quanto riguarda i depositi, anche in caso d’insolvenza totale della banca, bisogna esaurire prima tutte le altre fonti finanziarie della banca (azioni, capitale ibrido, obbligazioni e altre fonti finanziarie) per arrivare a toccare i depositi.

Tuttavia, i conti correnti fino a 100 mila euro sono coperti dal fondo interbancario di garanzia dei depositi. Oltre i 100 mila euro, i depositi di persone fisiche e piccole e medie imprese sono esclusi dal bail-in, ma ovviamente non hanno il fondo di garanzia alle spalle che li protegge dall’insolvenza totale della banca.

Un espediente che può essere adottato nella ricerca di maggiore sicurezza consiste nella pratica di dividere i propri risparmi in depositi sotto i 100 mila euro in banche diverse o cointestare il proprio conto per raddoppiare la garanzia a 200 mila euro.

Occorre precisare però, a sommesso avviso degli scriventi, che una crisi generalizzata per così dire sistemica, potrebbe far sollevare dubbi sulla tenuta del fondo interbancario, poiché basato su garanzie e non su reali esborsi.

Il ricorso all’applicazione del bail-in potrebbe sembrare pura teoria ed il suo utilizzo apparire improbabile e poco verosimile; in realtà il sistema bancario italiano lascia decisamente poco tranquilli.

Per il 2018 l’andamento dei titoli bancari quotati in borsa desta preoccupazione, infatti l’indice del settore continua a registrare risultati in calo, appesantito dagli annunci della Ue e le richieste dell’ FMI, circa l’irrigidimento della normativa comunitaria che disciplina la gestione degli NPL.

Si tratta dei così detti crediti deteriorati (quelli che hanno messo in crisi MPS), ovvero di tutti quei crediti che, per un motivo o per l’altro, non riescono più a ripagare il capitale e/o gli interessi dovuti ai creditori (solitamente bancari). A seconda del grado di deterioramento del credito si possono distinguere  diverse tipologie di NPL, la più nota categoria è quella delle sofferenze, ovvero quei “crediti la cui totale riscossione non è certa (per le banche e gli intermediari finanziari che hanno erogato il finanziamento) poiché i soggetti debitori si trovano in stato d’insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili”. Un elevato stock di crediti deteriorati tende ad avere conseguenze negative per le singole banche, sotto forma di compressione degli utili,  minore capacità di raccogliere nuove risorse sul mercato, riduzione del valore del credito, alti costi di riscossione (dovuti, in Italia, anche alla lentezza del sistema giudiziario) e l’eventualità di non riuscire proprio a recuperare il credito. Specialmente in un periodo in cui si insegue la crescita è necessario che le banche siano pronte a immettere liquidità nel mercato reale, finanziando investimenti e concedendo prestiti: invece, a causa soprattutto degli NPL, gli istituti bancari hanno le mani legate.

La domanda che ci si potrebbe porre è quindi perché non liberarsene ? Il problema è che i fondi di investimento (soprattutto statunitensi) e gli altri soggetti finanziari sono disposti a offrire per acquistarli mediamente il 20% del valore originario, se consideriamo che in bilancio compaiono già per il 40% – 60% del loro valore cederli per un importo pari al 20% del loro valore, determinerebbe una grossa perdita per gli istituti bancari interessati, senza considerare che aprirebbe una discussione interminabile sulla veridicità dei dati di bilancio esposti dalle banche fino ad oggi.

Considerando che il sistema bancario italiano detiene, una quantità di crediti deteriorati superiore a tre volte la media europea e che la quasi totalità degli istituti di credito presenti sul territorio italiano è coinvolto, è agevole immaginare cosa accadrebbe se si registrassero tali perdite o addirittura se si accertasse un’ assoluta impossibilità di riscuotere tali crediti; molte banche, insomma, rischierebbero il fallimento, e/o dovrebbero avvalersi dello strumento bail-in, trasferendo le sofferenze bancarie sulla clientela.

E’ in corso lo studio per la soluzione del problema; l’ultima proposta è quella di evitare la perdita nel conto economico e di ammortizzarla in cinque anni, mentre l’anno scorso si paventava l’istituzione di un super istituto bancario europeo che acquistasse dalle banche interessate per un valore pari al 30 % – 40% del loro valore gli NPL. Idea poi, però, mai sviluppata.

Si tratta in ogni caso di risposte che porteranno, forse, a soluzioni solo tra 3 – 5 anni, sperando che null’altro accada nel mentre.

Dall’analisi dei rischi e delle vulnerabilità del sistema bancario europeo, la classifica stilata dall’EBA (European Banking Authority), riguardante l’ammontare monetario di crediti deteriorati, l’Italia si trova collocata, purtroppo,  al primo posto.

Sono 276 i miliardi di NPL in capo al sistema bancario italiano con la Francia che segue, se pur a lunga distanza, con 148,4 miliardi e la Spagna con 141,2 miliardi; a seguire troviamo la Grecia (115,1 mld), il Regno Unito (90,6 mld), la Germania (67,7 mld) e i Paesi Bassi (44,6 mld).

Stando così le cose, il nostro Paese non può che essere leader nelle riserve sui crediti deteriorati con oltre 122 miliardi (di cui oltre 80 miliardi sono di Unicredit e Intesa Sanpaolo) a fronte dei poco più di 14 miliardi in Germania (di cui 4,5 miliardi in Deutsche Bank), dei 61,1 miliardi in Spagna (di cui oltre 40 miliardi in Banco Santander e in Banco Bilbao Vizcaya Argentaria) e dei 77,7 miliardi in Francia (di cui oltre 48 miliardi in BNP Paribas e in Crédit Agricole (primo e secondo istituto nel ranking nazionale per attivo).

In totale i gruppi italiani presi in esame hanno in pancia oltre 216 miliardi di Npl, quasi 10 volte di più di quelli tedeschi (25,2 miliardi): basti pensare che la prima banca nel ranking italiano, Unicredit, ne ha 75,4 miliardi e la prima in quello tedesco, Deutsche Bank, ne ha 7,4 miliardi. Le cifre salgono in Banco Santander (oltre 32,5 miliardi) e in BNP Paribas (oltre 41,7 miliardi), in cima alla classifica nazionale spagnola e a quella francese. Importi molto più bassi in Olanda (32 miliardi), in Austria (10,6 miliardi) e in Polonia (poco più di 7,6 miliardi).

La domanda a questo punto potrebbe essere perché scegliere la Svizzera e non un altro paese della zona Euro per trasferire la propria liquidità. La risposta la si trova in una analisi veloce e netta sullo stato di alcuni paesi dell’area Euro che ne mettono a rischio la stabilità e la stessa esistenza quotidianamente.

Sono trascorsi otto anni dallo scoppio della crisi greca e dal primo piano di aiuti europei. Oggi la Grecia ha fatto alcuni passi avanti ma la crisi non e’ ancora superata, tanto che due tra i principali creditori del paese, la Germania e il Fondo monetario internazionale, sono divisi sulle ricette da adottare: maggior rigore per la prima, una rinegoziazione parziale del debito per il secondo. In generale, però, l’intera periferia dell’eurozona gode di uno stato di salute precario, non molto differente da quello ellenico.

L’Italia, oltre all’eccesso di spesa e al colossale debito pubblico, ha un grande problema con le banche, in particolare con il Monte dei Paschi di Siena. Il primo gruppo bancario del paese, UniCredit, ha subito una perdita di quasi 12 miliardi di euro nel 2016, ma fortunatamente ha portato a termine con successo il suo piano di ricapitalizzazione di 13 miliardi, che gravava come un test di fiducia sull’intero sistema creditizio del paese. Questa è una buona notizia per Unicredit, ma non per le altre banche in difficoltà.

Nonostante il calo del prezzo del petrolio, i tassi d’interesse bassissimi e le entrate fiscali record, l’Italia ha accumulato il maggior debito pubblico di tutte le nazioni europee, e non e’ riuscita ad erodere il deficit: la Commissione ha preteso dall’Italia che incida sul deficit per 3,4 miliardi nel bilancio di quest’anno, pena sanzioni.

Sul Paese, poi, incombe l’eventualita’ che nelle prossime elezioni si abbia una possibile vittoria degli euroscettici. Tutto ciò non incoraggia gli investitori e, nonostante il fatto che la Bce abbia comprato titoli di Stato italiani per miliardi di euro, i premi di rischio delle obbligazioni sovrane sono tornati a crescere sul mercato internazionale. Lo spread con i titoli tedeschi e’ salito ai valori più  alti degli ultimi 3 anni”.

La Spagna e’ stata per quasi un anno senza un capo di governo, fino a quando ha assunto la leadership il conservatore Mariano Rajoy con un esecutivo di minoranza, ma gode di una robusta ripresa economica anche se uno spagnolo su cinque, e’ ancora alla ricerca di un impiego,  disoccupato e vive in povertà. La Spagna sta molto peggio di sette anni fa nonostante il turismo sia in crescita; il debito pubblico è molto elevato ed il suo deficit resta ben superiore al 3 per cento del Pil.

In Portogallo – invece – l’austerità e’ finita con la forza di un braccio di ferro vinto con la Commissione europea. Il nuovo governo portoghese, grazie alle misure adottate dal primo ministro Antonio Costa, ha aumentato salario minimo e pensioni, oltre a ridurre l’orario di lavoro per i funzionari e abbassare l’Iva.

L’economia e’ tornata a crescere e la disoccupazione si e’ assestata al 10,9 per cento anche se il rapporto debito-Pil e’ il terzo piu’ alto dell’Unione dopo Grecia e Italia, al 130 per cento, e le banche portoghesi hanno un grave problema di crediti inesigibili. Tuttavia, le decisioni prese dal governo portoghese hanno ridato energia all’economia, migliorato le condizioni di vita delle fasce più deboli, ad iniziare dagli anziani, e ridotto notevolmente la disoccupazione, abbattuta quasi del 40%.

L’Irlanda e’ l’unico dei cosiddetti “Piigs” ad essersi lasciato alle spalle i suoi problemi strutturali di banche e finanza anche se a caro prezzo.

Nel 2016 la sua economia e’ cresciuta del 4 per cento; sono state operate fusioni strategiche con gli Stati Uniti e questo ha risollevato le casse dello Stato. Sono stati fatti molti sacrifici, ma anche molti investimenti, anche grazie alle facilitazioni e ai benefici fiscali concesse alle società straniere. Il rapporto debito-Pil e’ sceso da 120 a 75 per cento. In questo quadro va tenuto ben presente che ancora oggi un irlandese su 12 vive in stato di assoluta povertà, come nei peggiori anni delle emigrazioni di massa dall’Irlanda verso gli Stati Uniti.

Se a questo aggiungiamo che il mandato di Draghi, da sempre paladino delle esigenze italiche, si dovrebbe concludere a fine 2019 e che la sua riconferma è in fortissimo dubbio, al punto che già si annunciano politiche diverse da quelle adottate fino ad oggi in termini di tassi ad esempio (si veda la pressione della Deutsche Bank circa un innalzamento degli stessi) ci si può facilmente rendere conto che si sta cercando di spegnere una bomba con una miccia sempre più corta..

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A questo punto non appare peregrina l’idea di differenziare anche l’allocazione di parte delle proprie sostanze in altri paesi e quindi pensare anche al trasferimento di parte della liquidità personale in Svizzera, paese ormai fuori uscito dalla Black list e comunque non appartenente all’Unione Europea dove sono vigenti le normee le condizioni di cui sopra.

In linea generale, il trasferimento di liquidità in Svizzera è perfettamente legale seppure ad alcune condizioni ed in primis che la liquidità sia, ovviamente, di provenienza legale quale compenso del lavoro e/o del risparmio.

Certamente vi sono da rispettare norme relative all’ingresso di questa liquidità in Svizzera oltre alle dichiarazioni fiscali.

Il trasferimento può avvenire tramite istituti finanziari oltre che materialmente.

Il trasporto di denaro in contante in entrata e in uscita dalla frontiera italiana è regolamentato dal  D. Lgs. n. 195/2008che prevede che chiunque entri nel territorio nazionale o ne esca trasportando denaro contante di importo pari o superiore a € 10.000,00 debba dichiarare tale somma all’Agenzia delle dogane.

Identico obbligo sussiste per il trasferimento di denaro contante effettuato mediante servizio postale; cambia, in tale caso, soltanto la modalità di dichiarazione.

Nello specifico le misure previste dal predetto D.LGS. 195/08  sono dirette a contrastare, per chiaro dettato normativo, in attuazione  del  regolamento  (CE)  n.  1889/2005  del  Parlamento europeo e del Consiglio, del  26  ottobre  2005,  l’introduzione  dei proventi di attività illecite nel sistema economico e finanziario, a protezione dello sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile  delle attività  economiche  e  del  corretto  funzionamento  del   mercato interno, nonche’ a  coordinare  la  disciplina  recata  dal  predetto regolamento con  la  normativa  di  cui  al  decreto  legislativo  21 novembre 2007, n. 231(e  successive  modificazioni)  al  fine  di istituire  un  adeguato  sistema  di   sorveglianza   sui   movimenti  transfrontalieri di denaro contante.

Di seguito il testo dell’art. 3 d.lgs. 195/08:

Art. 3.

                       Obbligo di dichiarazione

 1. Chiunque  entra  nel territorio nazionale o ne esce e trasporta

denaro  contante  di  importo  pari  o  superiore  a 10.000 euro deve

dichiarare   tale   somma  all’Agenzia  delle  dogane.  L’obbligo  di

dichiarazione  non  e’  soddisfatto  se  le informazioni fornite sono

inesatte o incomplete.

  1. La dichiarazione, redatta in conformita’ al modello allegato al

presente decreto puo’ essere, in alternativa:

  1. a) trasmessa  telematicamente,  prima  dell’attraversamento della

frontiera,  secondo  le modalita’ e le specifiche pubblicate nel sito

dell’Agenzia  delle  dogane.  Il  dichiarante  deve recare al seguito

copia della dichiarazione e il numero di registrazione attribuito dal

sistema telematico doganale;

  1. b) consegnata  in forma scritta, al momento del passaggio, presso

gli  uffici  doganali di confine o limitrofi, che ne rilasciano copia

con   attestazione   del   ricevimento   da  parte  dell’ufficio.  Il

dichiarante  deve  recare  al  seguito  copia della dichiarazione con

attestazione del ricevimento.

  1. Il  comma  1 si applica anche a tutti i trasferimenti di denaro

contante,  da  e  verso l’estero, effettuati mediante plico postale o

equivalente.  La  dichiarazione,  redatta  in  conformita’ al modello

allegato al presente decreto, e’ consegnata a Poste italiane s.p.a. o

ai  fornitori  di servizi postali ai sensi del decreto legislativo 22

luglio  1999,  n.  261,  all’atto  della  spedizione  o  nelle 48 ore

successive al ricevimento. Nel computo dei termini non si tiene conto

dei giorni festivi.

  1. Gli uffici postali e i fornitori di servizi postali ai sensi del

decreto   legislativo  22  luglio  1999,  n.  261,  che  ricevono  la

dichiarazione ne rilasciano ricevuta al dichiarante e provvedono alla

trasmissione della dichiarazione per via telematica all’Agenzia delle

dogane entro sette giorni.

  1. Le  disposizioni  del  presente  decreto  non  si  applicano ai

trasferimenti  di  vaglia  postali  o  cambiari,  ovvero  di  assegni

postali,  bancari  o  circolari, tratti su o emessi da banche o Poste

italiane s.p.a. che rechino l’indicazione del nome del beneficiario e

la  clausola  di  non  trasferibilita’. E’ fatta salva l’applicazione

dell’articolo  49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e

successive modificazioni.

  1. Il  Ministro dell’economia e delle finanze puo’ modificare, con

proprio decreto, il modello allegato al presente decreto.

In linea teorica si potrebbe oltrepassare la dogana insieme ai propri familiari  nella propria auto in cui ogni componente ciascun genitore, figlio maggiorenne e altro passeggero maggiorenne  potrà trasportare – senza obbligo di dichiarazione – denaro contante sino alla soglia massimale prevista.

Si considera “personale” il denaro conservato indosso, nelle tasche o nei propri oggetti personali.

Infatti in caso di controllo, si potrebbe essere chiamati dall’Autorità a rendere nota la provenienza delle somme stesse.

In ogni caso la violazione del limite non integra di per sé un reato, bensì un illecito amministrativo.

Ovviamente, le Autorità hanno facoltà di indagare su eventuali reati commessi a monte, relativi al denaro detenuto e trasferito illecitamente (ad esempio: evasione fiscale, riciclaggio, favoreggiamento, etc..). Il trasportatore, in tal caso, potrebbe risponderne anche a titolo di concorso.

La norma fa riferimento al denaro contante per cui oltre alle banconote e monete metalliche aventi corso legale, vanno ricompresi ai nostri fini, strumenti negoziabili al portatore,  assegni firmati ma privi del nome del beneficiario, mentre non sono compresi i trasferimenti di vaglia postali o cambiari, assegni postali, bancari o circolari che rechino l`indicazione del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

Naturalmente, resta fermo il rispetto di ogni altra norma relativa alla detenzione del denaro; ad esempio, quella che impone la tracciabilità del trasferimento di contanti pari o superiore a € 3.000,00.

Il limite predetto è stato innalzato da € 1.000,00 per i precedenti anni ad € 3.000,00 in seguito alla modifica dell’art. 49 del D.lv. n.231/07 effettuata dall’art. 1 comma 898 della legge n.208 del 2015.

Nello specifico tale norma non diminuisce il limite di denaro contante ( € 9.999,99 per persona) che è lecito portare ma riguarda i trasferimenti da persona a persona.

Il Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 in Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo prevede all’art. 49 co. 1 limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore stabilendo che :

((1. E’ vietato il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento, e’ complessivamente pari o superiore a 3.000 euro.

 Il trasferimento superiore al predetto limite, quale che ne sia la causa o il titolo, e’ vietato anche quando e’ effettuato con piu’ pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati e puo’ essere eseguito esclusivamente per il tramite di banche, Poste italiane S.p.a., istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento, questi ultimi quando prestano servizi di pagamento diversi da quelli di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11. Il trasferimento effettuato per il tramite degli intermediari bancari e finanziari avviene mediante disposizione accettata per iscritto dagli stessi, previa consegna ai medesimi intermediari della somma in contanti.

L’accertamento delle violazioni viene effettuato da funzionari dell’Agenzia delle dogane o dai militari della Guardia di Finanza;  gli importi eccedenti la soglia di legge vengono sequestrati, con preferenza di banconote e monete, e tale denaro garantisce in via prioritaria il pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie.

Evidentemente il trasferimento di moneta è preferibile attuarlo o tramite il sistema bancario.

A questo riguardo si riporta il  Decreto-Legge 28 giugno 1990, n. 167 coordinato con la legge di conversione 4 agosto 1990, n. 227 che disciplina la “ Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”.

Di seguito gli articoli maggiormente significativi:

L’art. 1 è chiaro nel dettato:

                               Art. 1.

((Trasferimenti attraverso intermediari bancari e finanziari e  altri

                         operatori))((27))

((1. Gli intermediari bancari e finanziari di cui  all’articolo  3,

comma 2, gli altri operatori finanziari di cui all’articolo 3,  comma

3,  lettere  a)  e  d),  e  gli  operatori  non  finanziari  di   cui

all’articolo 3, comma 5,  lettera  i),  del  decreto  legislativo  21

novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni, che  intervengono,

anche attraverso movimentazione di  conti,  nei  trasferimenti  da  o

verso l’estero di mezzi di pagamento di cui all’articolo 1, comma  2,

lettera  s),  del  medesimodecreto  sono   tenuti   a   trasmettere

all’Agenzia delle entrate i dati di cui all’articolo 31, comma 2, del

menzionato decreto, relativi  alle  predette  operazioni,  effettuate

anche in valuta virtuale, di importo pari o superiore a 15.000  euro,

indipendentemente dal fatto che si tratti di un’operazione unica o di

piu’ operazioni che appaiano collegate per  realizzare  un’operazione

frazionata e limitatamente alle operazioni eseguite  per  conto  o  a

favore di  persone  fisiche,  enti  non  commerciali  e  di  societa’

semplici e associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo

unico delle imposte sui redditi, di cui  al  decreto  del  Presidente

della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.))((27))

  1. I dati relativi ai trasferimenti e alle movimentazioni oggetto

di rilevazione ai sensi del comma 1 sono trasmessi all’Agenzia  delle

entrate con modalita’  e  termini  stabiliti  con  provvedimento  del

direttore dell’Agenzia delle  entrate,  anche  a  disposizione  della

Guardia di  finanza  con  procedure  informatiche.  Con  il  medesimo

provvedimento, la trasmissione puo’ essere  limitata  per  specifiche

categorie di operazioni o causali.

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AGGIORNAMENTO (27)

Il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 ha disposto (con l’art. 9, comma 1)

che “Le disposizioni emanate dalle autorita’ di vigilanza di settore,

ai sensi di norme abrogate o  sostituite  per  effetto  del  presente

decreto, continuano a trovare applicazione fino al 31 marzo 2018”.

 

Art. 4.

    (Dichiarazione annuale per gli investimenti e le attivita’).

 Le persone fisiche, gli enti  non  commerciali  e  le  societa’

semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle

imposte  sui  redditi,  di  cui  al  decreto  del  Presidente   della

Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti  in  Italia  che,  nel

periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attivita’

estere  di  natura  finanziaria,  suscettibili  di  produrre  redditi

imponibili in Italia, devono indicarli  nella  dichiarazione  annuale

dei redditi. Sono altresi’ tenuti agli obblighi  di  dichiarazione  i

soggetti  indicati  nel  precedente  periodo  che,  pur  non  essendo

possessori diretti degli investimenti esteri e delle attivita’ estere

di natura finanziaria, ((siano titolari  effettivi  dell’investimento

secondo quanto previsto dall’articolo 1,  comma  2,  lettera  pp),  e

dall’articolo 20 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231,  e

successive modificazioni.))((27))

  1. COMMA ABROGATO DAL D.L. 24 APRILE 2014, N. 66,  CONVERTITO  CON

MODIFICAZIONI DALLA L. 23 GIUGNO 2014, N. 89.

  1. Gli obblighi di indicazione  nella  dichiarazione  dei  redditi

previsti nel comma 1 non sussistono per le  attivita’  finanziarie  e

patrimoniali  affidate  in  gestione  o   in   amministrazione   agli

intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso

il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti

da tali attivita’ e contratti siano stati assoggettati a  ritenuta  o

imposta  sostitutiva  dagli  intermediari  stessi.  Gli  obblighi  di

indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1  non

sussistono  altresi’  per  i  depositi  e  conti   correnti   bancari

costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel

corso del periodo d’imposta non sia  superiore  a  15.000  euro.Gli

obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti  nel

comma 1 non sussistono altresi’ per gli immobili  situati  all’estero

per i quali non siano intervenute variazioni nel  corso  del  periodo

d’imposta, fatti salvi i versamenti relativi all’imposta  sul  valore

degli immobili situati all’estero, di cui al decreto-legge 6 dicembre

2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22  dicembre

2011, n. 214.

  1. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate,  e’

stabilito il contenuto della dichiarazione annuale prevista dal comma

1 nonche’, annualmente, il controvalore  in  euro  degli  importi  in

valuta da dichiarare.

  Art. 5.

(( (Sanzioni). ))

((1. Per la violazione degli obblighi di  trasmissione  all’Agenzia

delle  entrate  previsti  dall’articolo  1,  posti  a  carico   degli

intermediari, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria dal 10

al 25 per cento dell’importo dell’operazione non segnalata.

  1. La   violazione   dell’obbligo   di   dichiarazione   previsto

nell’articolo 4, comma 1, e’ punita con  la  sanzione  amministrativa

pecuniaria dal 3 al 15 per cento  dell’ammontare  degli  importi  non

dichiarati. La violazione di cui al periodo precedente relativa  alla

detenzione di investimenti all’estero ovvero di attivita’  estere  di

natura  finanziaria  negli  Stati  o  territori  a   regime   fiscale

privilegiato di cui al decreto del Ministro delle  finanze  4  maggio

1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio  1999,

e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze  21  novembre

2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.  273  del  23  novembre

2001, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30

per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati.  Nel  caso  in

cui  la  dichiarazione  prevista  dall’articolo  4,  comma   1,   sia

presentata entro novanta giorni dal termine, si applica  la  sanzione

di euro 258)).

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AGGIORNAMENTO (7)

  Il D. Lgs. 30 aprile 1997, n. 125 ha disposto (con l’art. 6,  comma

3) che “Dalla data di entrata in vigore del  regolamento  cessano  di

avere efficacia le  corrispondenti  disposizioni  degli  articoli  3,

3-bis e 3-ter del decretolegge n. 167 del 1990. Dalla medesima  data,

i riferimenti alle disposizioni previste dall’articolo  3,  contenuti

negli articoli 5 e 5-ter del  decretolegge  n.  167  del  1990,  come

modificato dagli articoli 2 e 3 del presente decreto legislativo,  si

intendono   integrati   e   sostituiti   con   i   riferimenti   alle

corrispondenti disposizioni del regolamento.”

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AGGIORNAMENTO (13)

  Il D. Lgs. 19 novembre 2008, n. 195 ha  disposto  (con  l’art.  16,

comma 2) che ” Le disposizioni del presente decreto  hanno  efficacia

dal 1° gennaio 2009.”

  Ha inoltre disposto (con l’art. 14, comma 1) che  “All’articolo  5,

comma 8-bis, del decreto-legge 28 giugno 1990,  n.  167,  convertito,

con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n.  227,  e  successive

modificazioni, per: “articolo  3”,  si  intende:  “l’articolo  3  del

presente decreto” e per:  “denaro,  titoli  e  valori  mobiliari”  si

intende: “denaro contante”.”

 

Art. 6.

(( (Tassazione presuntiva). ))

((1.  Per  i  soggetti  di  cui  all’articolo  4,  comma   1,   gli

investimenti esteri e le  attivita’  estere  di  natura  finanziaria,

trasferiti o costituiti all’estero, senza che ne risultino dichiarati

i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria,  fruttiferi

in misura pari al tasso ufficiale di riferimento  vigente  in  Italia

nel relativo periodo d’imposta, a meno che, in sede di  dichiarazione

dei redditi, venga specificato  che  si  tratta  di  redditi  la  cui

percezione avviene in un successivo periodo d’imposta, o sia indicato

che determinate attivita’ non possono essere produttive  di  redditi.

La  prova  delle  predette  condizioni  deve   essere   fornita   dal

contribuente entro sessanta giorni  dal  ricevimento  della  espressa

richiesta notificatagli dall’ufficio delle imposte)).

Art. 7.

Criteri e modalita’ di applicazione

((1. Con provvedimento del direttore  dell’Agenzia  delle  entrate,

sono  stabilite  particolari  modalita’   per   l’adempimento   degli

obblighi, nonche’ per la trasmissione delle evidenze di cui ai  commi

1 e 2 dell’articolo 1 e degli altri dati e notizie di cui al presente

decreto. Con gli stessi provvedimenti tali  obblighi  ed  adempimenti

possono essere limitati per specifiche categorie o causali e  possono

esserne variati gli importi.))

1-bis. L’amministrazione finanziaria procede, anche sulla  base  di

criteri selettivi adottati per i controlli annuali, a  verifiche  nei

confronti delle persone fisiche, degli enti non commerciali  e  delle

societa’ semplici e associazioni equiparate ai sensi dell’articolo  5

del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto  del

Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

1-ter. Per l’inosservanza  degli  obblighi  stabiliti  dai  decreti

emanati ai sensi del comma 1, del presente articolo, si applicano  le

sanzioni di cui all’articolo 13, comma 8, del decreto del  Presidente

della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605.

Tutto quanto detto è corroborato dalle rilevanti modifiche legislative in Svizzera riguardanti il c.d. segreto bancario.

In Svizzera il diritto alla protezione dei dati personali della clientela bancaria ha radici profonde che risalgono, secondo le fonti ufficiali, al 1715 ovvero all’epoca del cd. droit coutumier.

Inoltre, a partire dal 1935, come noto, il segreto bancario, inteso come protezione della sfera privata dei clienti delle banche da interventi ingiustificati da parte dello Stato, venne espressamente garantito dalla Legge federale sulle banche e sulle casse di risparmio.

Solo dopo la crisi economico-finanziaria del 2008, di fronte ai continui solleciti provenienti dalla Comunità internazionale presieduta dal G20 e alla minaccia di una possibile inclusione della Svizzera nella lista nera dell’OCSE[12], il Consiglio Federale[13] decise di revocare le sue riserve in materia di assistenza amministrativa fiscale per adeguarsi allo standard previsto dall’art. 26 del Modello OCSE.In particolare, il 13 marzo 2009, la Svizzera annunciò un primo iniziale cambiamento epocale manifestando l’intenzione di aderire alla Convenzione OCSE sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale.

Il 15 ottobre 2013, il Consiglio federale ha poi definitivamente firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, la quale, riprendendo il dettato dell’art. 26 del Modello OCSE .

Per attivare lo scambio automatico d’informazioni occorreva un accordo supplementare.

A tal uopo, in data 19 novembre 2014, la Svizzera ha prima firmato il  MCAA “Multilateral Competent Authority Agreement On The Exchange Of Country-By-Country Reports” e, in vista dell’introduzione dello Standard, il 18 dicembre 2015 l’Assemblea federale ha poi approvato la Convenzione sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, l’Accordo multilaterale tra Autorità Competenti concernente lo scambio automatico di informazioni relative a Conti Finanziari (“Accordo SAI”) e la Legge sullo scambio automatico (“LSAI”).

In questo modo, sono state create le basi giuridiche per lo scambio automatico di informazioni che, comunque, necessita sempre di un’attivazione bilaterale tra lo stato richiedente e lo stato concedente.

In tale prospettiva, la Svizzera ha concluso un accordo sullo scambio automatico di informazioni con l’Unione europea e dichiarazioni congiunte concernenti l’introduzione dello scambio automatico di informazioni sulla base dell’Accordo SAI con numerosi altri Stati a livello globale.Stando così le cose, le informazioni da scambiare per ogni conto oggetto di comunicazione[14] attengono in particolare a tre categorie d’informazioni:

(i) informazioni concernenti l’identificazione del cliente sia esso persona fisica o giuridica;
(ii) informazioni concernenti il conto; e
(iii) informazioni concernenti le finanze.
Più precisamente, nel caso in cui un cliente abbia domicilio fiscale all’estero, l’istituto finanziario elvetico è obbligato a trasmettere ai paesi partners le informazioni di seguito indicate:

Dati personali:

·        cognome o ragione sociale;

·        indirizzo;

·        paese del domicilio fiscale;

·        numero d’identificazione fiscale; e

·        data di nascita.

Informazioni sul conto:

. numero del conto;

. reddito totale lordo derivante da  dividendi, interessi e altre entrate;

. ricavo totale lordo derivante dall’alienazione di valori patrimoniali; e

. saldo o valore totale del conto alla fine del rispettivo anno civile

É d’uopo evidenziare che le suddette informazioni devono essere tenute segrete, analogamente a quelle ottenute in base alla legislazione interna dello Stato richiedente, e possono essere comunicate soltanto alle persone o autorità (ivi inclusa l’autorità giudiziaria e gli organi amministrativi) incaricate dell’accertamento e della riscossione delle imposte, delle procedure o dei procedimenti concernenti tali imposte, delle decisioni di ricorsi presentati per tali imposte, o del controllo delle attività precedenti. Ogni autorità competente deve dunque vigilare e, nell’eventualità, notificare immediatamente qualsiasi violazione dell’obbligo di riservatezza o protezione.

Quindi ricapitolando, le persone fisiche residenti fiscalmente in Italia, le società semplici e gli enti non commerciali che detengono investimenti patrimoniali all’estero, o attività finanziarie suscettibili di produrre reddito in Italia, devono dichiararli compilando il quadro RW. Il quadro RW del modello Redditi Persone Fisiche (o ENC) è dedicato al monitoraggio annuale delle attività finanziarie e degli investimenti patrimoniali detenuti all’estero da parte di persone fisiche residenti in Italia. Nonché per la determinazione delle due relative imposte patrimoniali:

  • Ivie – Imposta sugli immobili detenuti all’estero;
  • Ivafe – Imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero.

L’amministrazione tramite il monitoraggio fiscale controlla che non sfugga il gettito derivante dalla tassazione di redditi esteri in capo a soggetti residenti in Italia, consentendo quindi all’Amministrazione finanziaria di verificare il rispetto del principio di tassazione su base mondiale (cd. world wide taxation) sancito dall’art. 3, D.P.R. 22.12.1986, n. 917, secondo il quale:

  • i soggetti non residenti in Italia sono tassati solo in relazione ai redditi ivi prodotti;
  • i soggetti residenti in Italia sono tassati in relazione ai redditi ovunque prodotti.

Questo adempimento è destinato solo ai contribuenti che detengono attività finanziarie all’estero. Non bisogna, però, pensare che tale “ ingerenza” sia dissimile dall’ archivio dei rapporti finanziari per i contribuenti che invece non hanno interessi né patrimoniali né finanziari fuori dal paese.

Si tratta dei dati sull’apertura e la chiusura dei rapporti finanziari, ma anche delle informazioni sui saldi e i movimenti di conti correnti, conti di deposito, rapporti fiduciari, carte di credito e altri rapporti finanziari. Dati che l’Agenzia avrebbe dovuto sfruttare per predisporre «liste selettive» di contribuenti a maggior rischio di evasione (come ha previsto il decreto legge 201/2011) e per condurre «analisi del rischio» di evasione (come indicato dalla legge di Stabilità del 2015). Il Fisco, in particolare, si propone di mettere sotto la lente quest’anno le persone fisiche e nel 2019 quelle giuridiche. Nel documento, l’Agenzia parla di «completamento» della sperimentazione «già avviata». E in effetti le analisi del Fisco sono già state condotte in relazione al periodo d’imposta 2013, limitatamente a conti bancari, rapporti fiduciari, gestioni collettive del risparmio, gestioni patrimoniali, certificati di deposito e buoni fruttiferi. Ora le Entrate hanno l’intenzione di estendere la sperimentazione anche al periodo d’imposta 2014, ampliando lo spettro dei rapporti sotto controllo a carte di credito, prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, acquisto e vendita di oro e metalli preziosi. In pratica, il Fisco utilizzerà le informazioni contenute nell’archivio dei rapporti finanziari per ricostruire il patrimonio finanziario dei contribuenti, di modo da individuare eventuali incrementi non giustificati dai redditi prodotti nell’anno, al netto delle spese sostenute.

Le eventuali incoerenze saranno considerate sintomo di «rischio fiscale» e potranno far partire le ordinarie attività di accertamento dell’Agenzia, alle quali resta affidata – in concreto – la valutazione dei casi di evasione.

Conclusioni

Il trasferimento di denaro su c/c svizzero è, oltre che condivisibile e comprensibile da un punto di vista politico-economico, assolutamente lecita. A conferma della liceità dello strumento, si ricorda che la normativa vigente ha disciplinato appositamente la fattispecie analizzata, la quale costituisce una implicita conferma che il trasferimento e l’investimento su mercati internazionali è sempre più frequente, al punto che si è reso necessario disciplinare la casistica, rendendo obbligatorio la compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi;

La Svizzera non è più un paese incluso nella black-list, come recentemente ratificato dal Protocollo che modifica la Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni; il Protocollo, prevedendo lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard Ocse, pone fine al segreto bancario e pone le basi per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi per contrastare il fenomeno dell’evasione e dell’infedeltà fiscale.

Il ricorso a questo tipo di investimento non determina un maggior rischio di accertamento, rispetto ai soggetti che invece non effettuano alcun tipo di investimento su mercati stranieri. Infatti, come già descritto precedentemente, oramai anche i conti correnti detenuti in Italia sia da soggetti residenti che non residenti sono oggetto di controlli minuziosi e dettagliati (archivio dei rapporti finanziari), pari sia per intensità che per numero a quelli effettuati sui soggetti che sono tenuti alla compilazione del quadro RW.

Ciò premesso, se la provenienza delle somme depositate sui conti correnti è lecita e tracciata, a nulla rileva la localizzazione geografica del conto e della banca presso cui lo stesso è stato aperto.

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