E’ opportuno da subito precisare che oggetto di questo breve contributo è la legittimità della previsione dei canoni a misura crescente negli anni pattuita ab origine, con la stipula del contratto di locazione e non la variazione del canone in corso di contratto[1].
Ebbene, proprio relativamente all’istituto in discussione, si è avuto modo di assistere ad un revirement totale nelle decisioni della Corte di Legittimità.
Come osservato da attenta giurisprudenza di merito[2] si è passati da una posizione di totale chiusura (ribadita in Cass. Civ. 6896/1987 che “aveva in effetti affermato che in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, la clausola contrattuale avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone- in misura fissa o differenziata, anno per anno, a partire dal primo dopo la stipulazione di un contratto di durata legale – doveva ritenersi illegittima alla luce della disposizione di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 32 (nella originaria formulazione) il quale […], tende a conservare un attenuato sistema di blocco dei canoni”), ad una progressiva apertura, i cui semi sono da intravedersi nella sentenza n. 8377/1992 la quale, pur reputando ancora nulla tale pattuizione, sottoponeva a condizione la possibilità di ricorrere legittimamente a tale strumento.
La clausola, si legge in tale sentenza, “deve considerarsi nulla, ai sensi dell’art. 79 della medesima legge, perché tendente ad eludere, a vantaggio del locatore, i limiti stabiliti dalla predetta disposizione dell’art. 32, a meno che le maggiorazioni non siano collegate sinallagmaticamente all’ampliamento della controprestazione“.
A partire dalla metà degli anni novanta, si sono, quindi, susseguite numerose pronunce, soprattutto da parte della Corte nomofilattica, che hanno confermato e reso prevalente l’opinione giurisprudenziale secondo cui “la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ovvero prevede variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati (del tutto diversi e indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere d’acquisto della moneta), deve ritenersi legittima ex artt. 32 e 79 della legge sull’equo canone, salvo che non costituisca un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria (cfr., tra le molte altre, Cass., nn. 6695/1987, 4474/1993, 5360/96, 10500/2006, 4210/2007, 17964/2007, 5349/2009, 11608/2010, 10834/2011)”[3].
Tale filone giurisprudenziale trovava e trova il suo fondamento sul basilare e pacifico principio di libera determinazione del canone di locazione per gli immobili destinati ad uso non abitativo.
Tale ricostruzione, ribaltando nella sostanza i termini di cui alla Cass. Civ. 6896/1987, sopra richiamata, veniva esemplarmente ribadito con la sentenza n.4210/2007, con la quale veniva affermata l’assoluta libertà delle parti nella determinazione del canone di locazione. Libertà che aveva come unico limite la non predeterminazione degli aumenti o il collegamento di detti aumenti, in maniera implicita o esplicita, diretta o surrettizia, al mutare del potere d’acquisto della moneta[4].
Se, insomma, allo stato, “la pattuizione iniziale di canone crescente è sì in linea di principio valida, ma pur sempre all’imprescindibile condizione che essa non sia destinata a svolgere surrettiziamente una funzione di aggiornamento del valore del canone svincolata dai criteri e dai limiti fissati dalla L. n. 392 del 1978, art. 32,.”[5], occorre verificare, in concreto, quali siano le condizioni che ne possano far dichiarare la nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 79 e 32 della legge 392/1978.
Un elemento di interesse, incidentalmente rilevato dalla sentenza in ultimo richiamata, talvolta sottovalutato dai commentatori, si ricava dal dato letterale dell’art. 32 legge citata.
Detto articolo, rubricato “aggiornamento del canone”, prevede la possibilità di aggiornare il canone locatizio e ne prevede i limiti.
E’ stato giustamente affermato, che è consentito “alle parti prevedere la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto purchè la stessa previsione non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 32 con la quale il legislatore si è riservato la facoltà di determinare le modalità e la misura dell’aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta, sottraendola alla disponibilità della parti”.[6]
La ratio del divieto di introdurre un meccanismo di indicizzazione diverso da quello previsto per legge si fonda sia su esigenze generali, di programmazione uniforme delle ricadute dal mutato potere di acquisto della moneta sui contratti in corso, sia sulla avvertita esigenza di evitare che il locatore possa approfittare del contraente strutturalmente più debole per imporgli iniqui meccanismi di indicizzazione automatica, scissi da una giustificazione causale che sia ancorata al concreto assetto di interessi delle parti.
Tale insomma lo stato dell’arte: liceità della pattuizione cd “a scaletta” purchè nel rispetto dell’art. 32 l. cit.
Scendendo dal quieto mondo dei principi al bellicoso campo della concretezza e delle aule dei Tribunali, si nota, tuttavia, una qualche oscillazione relativamente a due questioni di cruciale importanza ai fini delle decisioni delle liti: 1) la necessità che il canone a misura crescente, come determinato al momento della stipula del contratto, sia ancorato ad elementi esterni atti ad indicare la volontà delle parti; 2) la modalità di esplicitazione (necessaria?) di tali elementi.
Seppure minoritario, infatti, vi è un filone giurisprudenziale, soprattutto di merito, che attribuisce eccessiva rilevanza, ai fini della validità del canone crescente, all’indicazione esplicita nel corpo del contratto di locazione di elementi esterni atti a giustificare la scelta delle parti.
Liberando subito il campo da fraintendimenti, va detto che è certamente preferibile l’enunciazione nel contratto dei motivi che abbiano portato locatore e conduttore a diversificare l’importo del canone nel corso del rapporto, ma, tuttavia, è altrettanto necessario non distogliere lo sguardo da quello che è l’unico limite (per quanto qui in discussione) posto alla libera contrattazione: il divieto di violazione (o aggiramento, è lo stesso) del dettato di cui all’art. 32 l. 392/78[7].
Dare rilievo all’equilibrio sinallagmatico o alle motivazioni poste alla base della decisione di prevedere un aumento(o diminuzione) graduale del canone, sarebbe evidentemente in contrasto con il principio cardine, non in discussione, di “libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo”[8].
L’ancorare il canone “a scaletta” ai più svariati motivi (l’esecuzione di lavori effettuati dall’inquilino, piuttosto che a motivi di crisi nazionale o dell’azienda, alla risalenza del rapporto o alla novità dello stesso) determina la liceità dell’accordo, insomma, poichè (e nella misura in cui) esplicita una causa diversa dall’aggiornamento del canone al potere della moneta, facendo presumere, quindi, l’effettiva pattuizione di canoni di locazione differenziati nel tempo e non un aggiornamento in violazione dell’art. 32 cit.
Tale ricostruzione trova conferma in numerose sentenze di legittimità e di merito.
Se con la sentenza 19802 del 28.8.2013 la Suprema Corte chiedeva alla corte distrettuale che appurasse, in sede di rinvio, se le differenze degli importi previsti in aumento “fossero dalle parti considerate equivalenti alla possibile imminente variazione (che sarebbe stata allora ben superiore, nelle loro aspettative, al 20% complessivo in un solo anno) del potere d’acquisto della moneta e che non costituissero, invece, una differenza tale da indurre a ritenere che i due diversi canoni fossero stati per altra ragione diversificati”, in una recentemente la stessa, nel confermare la sentenza di merito impugnata, ha ribadito la liceità della determinazione dei canoni in misura crescente sottolineando che “la variazione in aumento del canone di locazione, prevista per gli anni secondo, terzo, quarto e quinto del rapporto, non si traduceva in una violazione della L. n. 3982 del 1978, art. 32, in quanto si trattava di variazioni predeterminate e non ancorate al mutato potere d’acquisto della moneta nè direttamente nè indirettamente. Escludeva poi un intento elusivo in ragione del fatto che nessun aumento fosse stato previsto per il sesto anno, e neppure per il secondo sessennio della locazione, periodo di tempo assai ampio, nell’arco del quale le variazioni del potere di acquisto della moneta non avrebbero potuto non incidere”[9].
Nel primo caso, mancando nel contratto di locazione alcun riferimento esterno cui sarebbe stato ancorata la diversificazione negli anni del canone di locazione, gli Ermellini hanno rinviato alla Corte di merito affinché venisse eseguita una comparazione in concreto tra gli aumenti previsti in contratto e quelli relativi all’aumento della variazione del potere di acquisto della moneta (rectìus della possibilità delle parti di ritenere le due variazioni equivalenti), nel secondo, sempre in mancanza di alcun elemento esterno, la liceità della pattuizione trova la sua scaturigine da un esame degli aumenti stessi, che evidenziavano che l’ intento delle parti non era quello di violare l’art. 32 l.392/78, ma di stabilire liberamente corrispettivi diversi per i diversi anni.
Se, insomma, è sempre consigliabile esplicitare in contratto i motivi che portano a decidere una diversa determinazione del canone di locazione nel corso degli anni, tale indicazione deve ritenersi non necessaria laddove risulti ugualmente evidente che con tale determinazioni le parti abbiano voluto esercitare il loro diritto di libera contrattazione e non aggirare l’art. 32 cit.
Tale valutazione, di competenza del giudice di merito, dovrà essere operata in concreto e tenendo certamente in considerazione anche le variazioni stabilite dalle parti in raffronto con quelli (presumibili) della variazione del potere della moneta.
Come affermato da attenta giurisprudenza di merito, non potrà, ad esempio, ritenersi nullo, ex artt. 79 e 32 l.392/78, l’incremento del canone laddove, stabilito ab origine in contratto, preveda un aumento talmente elevato da non potersi certamente ritenere che avesse come finalità l’aggiramento del disposto dell’art. 32 cit[10].
Concludendo questo breve intervento, si può affermare, in estrema sintesi, che locatore e conduttore hanno la piena libertà di pattuire la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, purchè ciò avvenga con la stipula del contratto di locazione e nel rispetto dell’art. 32 l. 392/1978. Rispetto valutabile in sede giudiziaria attraverso un’esame della fattispecie concreta.